Nel 2020, i Comuni hanno dovuto affrontare un anomalo incremento dei bisogni assistenziali, a causa dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi sociale ed economica. È aumentata del 72,9% (da 555 a 959 milioni) la spesa per l’area povertà, disagio adulti e persone senza dimora (dal 7,4% al 12,2% della spesa complessiva).
In forte crescita i contributi a sostegno del reddito: 377.000 beneficiari nel 2020. 743mila i beneficiari dei buoni spesa per emergenza alimentare (21.500 nel 2019). Al Sud la spesa pro-capite per il welfare territoriale (66 euro) è la metà della media nazionale (132 euro) e poco più di un terzo di quella del Nord-est (184 euro).
Balzo dei trasferimenti in denaro e calo dei servizi sociali in pandemia
Con l’inizio della pandemia si registra un cambiamento nella composizione della spesa, sia per il tipo e la funzione dell’assistenza fornita, sia per le caratteristiche dei destinatari.
Aumenta del 72,9% la spesa per l’area di utenza “povertà, disagio adulti e persone senza dimora”, che passa dal 7,4% al 12,2% della spesa complessiva. Fra le altre aree di utenza, quelle che hanno visto aumentare leggermente la spesa sociale sono “Famiglia e minori” (+1,3%) e “Immigrati, Rom, Sinti e Caminanti” (+2,2%), mentre si riduce la spesa per i servizi offerti ai disabili (-5,9%) e agli anziani (-1,7%). In calo anche la spesa per le dipendenze (-8%) che, tuttavia, assorbe una quota marginale della spesa sociale dei Comuni. Aumentano le spese per i servizi generali e la multiutenza (+5,9%).
È aumentata per tutte le aree di utenza la spesa erogata sotto forma di trasferimenti in denaro (+22,7%), in particolare per i contributi a sostegno del reddito per i cittadini in difficoltà economica, mentre è diminuita (-3,7%) la spesa per i vari interventi e servizi (assistenza domiciliare, trasporto sociale, ecc.), di cui in alcuni periodi dell’anno non si è potuto beneficiare a causa dell’emergenza sanitaria. Quasi stabile (-0,8%) la spesa per le strutture, sia residenziali che diurne (centri e strutture residenziali per anziani e disabili, nidi d’infanzia, ecc.), caratterizzate da maggiore rigidità dei costi di gestione.
In aumento i “buoni spesa” e i contributi per il contrasto alla povertà
Sono oltre 500mila le persone prese in carico dai servizi sociali per problemi di povertà ed esclusione sociale nel 2020 (circa 71mila in più rispetto all’anno precedente). La voce di spesa che ha fatto registrare l’aumento più consistente è quella dei “buoni spesa o buoni pasto”, che comprendono i buoni spesa per emergenza alimentare dovuta al Covid-19, oggetto di finanziamenti straordinari disposti da marzo 2020 come misure urgenti di solidarietà alimentare.
Fino al 2019 i beneficiari di questo tipo di interventi erano circa 21.500 persone o famiglie, per la maggior parte rientranti nell’area di utenza “povertà e disagio adulti”, e nel 30% dei casi erano erogati ad anziani, immigrati o persone disabili. Nel 2020, i beneficiari dei buoni spesa dichiarati dai Comuni sono stati oltre 743.000, nel 95% dei casi classificati come interventi per la povertà e il disagio adulti, per un importo complessivo di oltre 275 milioni di euro.
L’utilizzo dei contributi per l’acquisto di alimenti e beni di prima necessità (come i prodotti per l’infanzia), è aumentato su tutto il territorio nazionale. L’importo medio percepito nell’anno per utente è di 371 euro. In forte aumento anche l’utilizzo di altri strumenti di sostegno ai cittadini in difficoltà, come i contributi a sostegno del reddito familiare.
In calo l’utilizzo dei nidi d’infanzia e delle strutture diurne per anziani e disabili
Se da un lato i Comuni hanno avuto un ruolo importante per sostenere le famiglie in difficoltà economica durante la pandemia, si registra invece una battuta d’arresto nella fruizione di servizi molto importanti per le famiglie, come l’assistenza agli anziani e alle persone con gravi disabilità e limitazioni nell’autonomia personale.
In particolare, si registra un calo della spesa impegnata per la gestione dei centri diurni, sia comunali che in convenzione, che accolgono i disabili e gli anziani durante il giorno e offrono interventi di sostegno, socializzazione e recupero, alleviando anche i familiari dalle attività di cura. L’ammontare delle rette pagate dalle famiglie è diminuito infatti del 52% (-15 milioni), riducendo così la quota di compartecipazione alla spesa acquisita dai Comuni.
Gli effetti della pandemia sono simili anche per i nidi e gli altri servizi educativi per la prima infanzia (servizi integrativi), comunali o finanziati dai Comuni, dove si registra un calo delle iscrizioni del 10,5% e una riduzione del 10,3% della spesa impegnata rispetto all’anno precedente. Tuttavia, i Comuni hanno dovuto affrontare un forte decremento della contribuzione da parte delle famiglie (-39,7%), a causa del minor numero di mesi di frequenza dei bambini, come documentato anche da altre fonti.
Forti i divari territoriali della spesa per i servizi sociali
L’offerta di servizi socio-assistenziali di cui i cittadini possono beneficiare è caratterizzata da grandissimi divari territoriali. Un indicatore di sintesi della disparità nella fruizione di servizi è dato dalle risorse economiche che i Comuni hanno utilizzato nell’anno in rapporto alla popolazione residente: mediamente la spesa sociale dei Comuni del Sud, pari a 66 euro pro-capite, è la metà rispetto alla media nazionale e poco più di un terzo rispetto al Nord-est (184 euro). Rapportando la spesa di ciascuna area di utenza alle specifiche sotto popolazioni di riferimento, emergono ulteriori importanti divari territoriali e si evidenziano in particolare le carenze assistenziali di molte regioni del Sud.