Anna Biffi lavora in Spazio Giovani, e nella gestione delle risorse umane, da più di venti anni; all’epoca non erano tante le cooperative sociali che si erano dotate in maniera esplicita e formale di un responsabile delle risorse umane, la cooperativa di Monza lo fece e Anna, in quasi cinque lustri, ha potuto fare un lavoro di traduzione di alcune teorie proprie della gestione delle risorse umane proprie del mondo profit calate e applicate nel contesto della cooperazione sociale. La riflessione di oggi viene quindi da due decenni di esperienza concreta sul campo.
A inizio anni Duemila era ormai venuta meno la prima ondata di cooperatori sociali, quelli che avevano deciso di lavorare nel sociale ‘per vocazione’, una vocazione spesso figlia di radicati convincimenti politici e di una certa visione del mondo. Questa ondata aveva portato con sé la nascita di tantissime cooperative sociali, che spesso avevano trovato terreno fertile negli oratori, a contatto con i giovani scout o con i tanti volontari del sociale che animavano le organizzazioni del mondo cattolico (Caritas, Acli, ecc.). Esaurita quella ondata molto politica e politicizzata, ha iniziato ad affacciarsi sul mercato del sociale una generazione di giovani molto preparati – spesso laureati in Scienza dell’eduzcazione, Psicologia, Sociologia, Scienza della formazione, ecc – ma che, spesso, non aveva piena consapevolezza del lavoro di cura e dell’attività specifica all’interno di una cooperativa sociale.
Sono i 30-40enni di oggi, una generazione che si è sperimentata nel lavoro in cooperativa e che oggi potrebbe rappresentare il futuro della cooperazione sociale, anche dal punto di vista dirigenziale. Ma che prospettive ha questa generazione? Come vede il lavoro in cooperativa? Quali sono le aspirazioni di questi giovani adulti?
Sono temi che le cooperative sociali degli anni ’20 del XXI secolo devono porsi. Perché, confrontate a venti anni fa, anch’esse sono cresciute e si sono strutturate: per fare l’esempio della stessa Spazio Giovani, in vent’anni è passata dall’avere 30 addetti a contarne più di 200, con un’esplosione e una diversificazione dei servizi offerti. Questo rende ancora più vero quanto già si iniziava a vedere ad inizio millennio: non ci può essere lo spontaneismo nella gestione delle risorse umane, ma questa deve essere una sezione appositamente costituita e degna di attenzione all’interno di ogni cooperativa sociale.
Spazio Giovani lo ha fatto e, negli ultimi anni, ha deciso di mettere al centro di un proprio evento formativo i 30-40enni. Ne viene fuori uno spaccato di una generazione, analizzata da tre punti di vista: a) l’identità professionale di chi lavora nel sociale; b) le prospettive di chi lavora all’interno di organizzazioni del privato sociale; c) il loro occhio e la loro visione del mondo della cooperazione.
E’ una generazione molto preparata e molto formata, che ha vissuto l’università negli anni in cui questa istituzione ha iniziato a specializzarsi sempre più, anche nel lavoro sociale. Una generazione che non ha più l’orizzonte del lavoro nel Pubblico anche perché, in questi decenni, le amministrazioni hanno sempre più delegato il Welfare e il lavoro di cura al Terzo Settore e, in primis, al mondo della cooperazione. Mondo della cooperazione che però sconta un problema di sovraccarico nell’organizzazione di risposte a bisogni e richiesta di nuovi servizi che non si accompagna ad un eguale riconoscimento del proprio lavoro e della propria funzione, anche e soprattutto dal punto di vista delle retribuzioni: il lavoro di cura si è impoverito.
Oggi tanti operatori del sociale sono lavoratori poveri. Spesso ciò accade proprio ai giovani. A cui, però, d’altra parte, si chiede di essere super flessibili, perché – ad esempio – nella scuola, la figura dell’educatore è anche mediatore tra utente, famiglia, insegnanti di ruolo, insegnanti di sostegno, ecc. Il lavoro di cura mette insieme discipline e settori che tanto volte fanno fatica a parlarsi: sotto questo punto di vista, le soft skills di tanti ragazzi sono tanto importanti se non più importanti delle hard skills che costoro hanno sviluppato negli anni dell’università.
In maniera sintetica, i risultati del lavoro di formazione e di auto-valutazione di cooperativa Spazio Giovani con i propri soci lavoratori 30-40enni ha portato ai seguenti output:
- punto di vista identitario: questa generazione sente che la coopeativa in cui sono inseriti li aiuta ad ‘essere parte di qualcosa’ e questo elemento per loro è molto importante: non sono solo parte di un ingranaggio molto più grande e spesso complicato da comprendere (come può avvenire nel profit), ma parte di una squadra di professionisti, stimolanti ed interessanti, con cui è bello lavorare e collaborare.
- piano delle prospettive: tanto è vero che le aspettative di un giovane professionista del sociale possono essere accolte fuori da una cooperativa sociale (es. lo psicologo giovane non fa subito attività clinica in un proprio studio privato ma quella può essere, giustamente, la sua ambizione) quanto è altrettanto vero che è possibile lavorare sulla competenze che ciascuno porta con sé e che l’organizzazione cooperativa sociale potrebbe aiutare ad evolvere, anche in termini di servizi. Ad esempio, da qualche anno coop. Spazio Giovani ha investito esplicitamente su un gruppo di trentenni molto bravi sul digitale e oggi la cooperativa ha svilupppato un settore di ‘media education’. L’organizzazione ha quindi saputo evolversi valorizzando le competenze delle persone che ne fanno parte, andando a sviluppare servizi innovativi.
- focus sull’impresa cooperativa e sul mondo della cooperazione: qui purtroppo c’è un vuoto, i 30-40enni sentono la cooperazione come qualcosa di molto distante. Non conoscono il movimento cooperativo e la lettura di cosa sia la cooperazione è troppo spesso mediata da ciò che emerge dai giornali: se non esplicitamente di cooperazione spuria e di situazioni ai limiti della legalità, la cooperativa è comunque vista come un’organizzazione che fa da supporto al Pubblico senza essere riconosciuta dal Pubblico stesso, soprattutto in termini di stipendi. Questo è un problema per i senior, per i colleghi più stagionati: che senso stiamo dando della cooperazione alle nuove generazioni? Come possiamo coniugare la cooperazione in termini moderni e innovativi?
Non tutto è perduto, anzi ci sono potenzialità notevoli con le nuove generazioni che stanno sempre più sviluppando sensibilità nuove. Se riesce a diventare dignitoso, il lavoro nel sociale è visto in maniera positiva perché da un senso alla vita degli individui ed è molto presente l’idea che spesso nel profit sei pagato meglio e molto di più ma puoi anche trovarti senza lavoro da un giorno all’altro; la cooperazione, da questo punto di vista, offre maggiori garanzie e porta con sé anche tanti valori molto sentiti dai giovani – la sostenibilità declinata in mille modi, in primis – per cui, magari valori diversi rispetto alla generazione dei primi cooperatori sociali ma valori altrettanto importanti, sentiti e spesso innovativi.
Infine, ciò che si osserva provando a fare una comparazione tra mondo profit e mondo non-profit è che la gestione delle risorse umane per troppi anni è stata data per scontata in cooperativa, anche da cooperative medio-grandi, che spesso la hanno confusa con la mera amministrazione del personale. Inoltre, spesso, laddove vi è stata gestione autonoma delle risorse uname, si è semplicemente provato a copiare il mondo profit; in questo modo si è cercato di mettere un certo vestito a persone che fanno un lavoro del tutto diverso.
Si è quindi osservato che – facendo una valutazione del lavoro solo in termini quantitativi, come spesso fanno le aziende profit, e non utilizzando anche altri strumenti – si producono dei disastri colossali. Valutare il lavoro è invece possibile, è possibile farlo anche in cooperativa, si tratta di utilizzare strumenti raffinati e specifici, che spesso devono essere costruiti a partire dalle proprie realtà e non copiati meramente da grandi aziende specializzate in HR.
Occorrono quindi competenze specifiche, anche nella gestione delle risorse umane, anche per far crescere i giovani cooperatori di oggi, futuri dirigenti di cooperative un domani.