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GLI ITALIANI E IL MUTAMENTO CLIMATICO

Per affrontare al meglio le sfide della transizione ambientale è indispensabile partire da alcuni dati di conoscenza, a cominciare dagli orientamenti dell’opinione pubblica.

mercoledì 4 ottobre 2023

Gli italiani hanno una elevata consapevolezza dell’emergenza climatica, delle sue cause e dei suoi effetti. E non si tratta solo di consapevolezza astratta o semplice informazione: molti dichiarano di aver personalmente esperito l’impatto di questa emergenza, sotto forma di eventi climatici estremi.

 

Questa consapevolezza si traduce in un’alta propensione ad adottare comportamenti rispettosi dell’ambiente, più di quanto non avvenga negli altri Paesi. La quasi totalità degli intervistati dichiara infatti di fare la raccolta differenziata, il 74% di risparmiare sul consumo di acqua
e di energia, il 46% di scegliere modalità di viaggio e trasporto rispettose dell’ambiente, infine il 45% dichiara di privilegiare cibi e vestiti con etichetta verde.


Alla consapevolezza dell’emergenza si accompagnano due diffusi orientamenti. Il primo è un senso di preoccupazione per gli sviluppi in atto, una preoccupazione più alta di quella osservabile in altri Paesi. L’aumento improvviso e pronunciato del prezzo del gas – sulla scia della guerra in Ucraina – ha lasciato il suo marchio. A far paura sono infatti, soprattutto, la questione energetica e i suoi possibili effetti sulla sicurezza occupazionale ed economica delle famiglie.


Il secondo orientamento condiviso riguarda le misure e gli oneri connessi alla transizione verde. Più che in altri Paesi, gli italiani si aspettano che lo stato intervenga per sussidiare i costi delle famiglie, in particolare per l’efficientamento energetico degli edifici. Vi è anche una buona disponibilità ad accettare regolamentazioni restrittive (automezzi inquinanti, elettrodomestici a dispendio energetico). Il sostegno nei confronti di eventuali nuovi tributi è però nettamente inferiore, anche se una risicata maggioranza manifesta disponibilità. Molti intervistasti pensano che i proventi di eventuali nuovi tributi dovrebbero essere utilizzati a favore dei lavoratori piuttosto che delle imprese.

 

Una lieve maggioranza di cittadini si dice poi favorevole a un eventuale ricorso all’energia nucleare: significativamente di meno rispetto ai cittadini di tutti gli altri Paesi del campione, ma più degli spagnoli. A una certa apertura nei confronti di nuove imposte per finanziare la transizione fa da contraltare un’elevata contrarietà a eventuali riduzioni del welfare: il 46% è contrario (in più c’è un 14% di “non so”) a qualsiasi opzione di taglio. Solo la Spagna registra un livello di contrarietà più elevato. Bassa la disponibilità a tagliare pensioni, prestazioni familiari e soprattutto sanità e assistenza sociale. La voce di spesa nei confronti della quale si rileva, come in tutti i Paesi, una certa disponibilità a ridurre le spese è quella relativa ai sussidi di disoccupazione.


Su questa base di credenze e orientamenti largamente condivisi, si registra però anche una pronunciata polarizzazione, in particolare per quanto riguarda il trade-off fra transizione energetica e crescita economica. Più marcata che negli altri Paesi è la contrapposizione fra due gruppi: da un lato, i sostenitori dello scenario “sì alla transizione anche a costo di un po’ meno crescita; basta che non si tocchi il welfare” (17,8%); dall’altro i sostenitori dello scenario “sì alla crescita e al welfare anche se ciò significa un po’ meno sostenibilità ambientale” (14,7%). Il primogruppo è prevalente rispetto al secondo. Ma quest’ultimo è in Italia marcatamente più elevato che negli altri Paesi. Vi è poi un terzo gruppo, che potremmo definire moderato: si tratta di cittadini che vorrebbero conciliare sostenibilità ambientale e sviluppo economico, anche se ciò dovesse comportare qualche rinuncia in termini di protezione sociale. Questo terzo gruppo vale circa il 9%, un po’ meno rispetto agli altri Paesi, tranne che la Spagna.


Quando intorno a una data questione l’opinione pubblica registra una polarizzazione, il cambiamento dello status quo diventa più difficoltoso e aumenta il rischio di politicizzazione e conflitti. Ciò tende ad essere tanto più vero quanto più la polarizzazione coinvolge gruppi di elettori che condividono il background sociale. Come si è visto, in Italia la contrapposizione fra i primi due gruppi corre in parte lungo l’asse socio-economico (livello di reddito, professione, numerosità della famiglia) e in parte lungo l’asse territoriale (Nord verso Sud). Sono i ceti più vulnerabili a sentirsi più minacciati dalla transizione verde e i più preoccupati che le sue implicazioni comportino ulteriori rischi in termini di crescita, occupazione e reddito.

 

All’opposizione nei confronti di qualsiasi riduzione del welfare, si accompagna una domanda di ulteriori protezioni, di sostegni che consentano di ricollocarsi dai settori tradizionali a quelli de-carbonizzati. Chi è meno spaventato e più a favore della transizione verde mostra disponibilità a ridurre il vecchio welfare. Ma il tipo di prestazioni rispetto a cui si acconsentirebbe a qualche taglio sono le prestazioni di disoccupazione: proprio il tipo di taglio che colpirebbe soprattutto le persone più vulnerabili. La contrapposizione fra “priorità all’ambiente” e “priorità alla crescita” riflette insomma due diverse basi sociali e i loro interessi. Ciò potrebbe rendere più probabile
l’emergenza nel nostro Paese di un inedito conflitto eco-sociale.


Data la posta in gioco (l’imperativo di neutralizzare il cambiamento climatico) una classe politica responsabile dovrebbe sforzarsi di evitare questo scenario. Le divisioni esistenti all’interno dell’opinione pubblica sono importanti, ma anche relativamente malleabili: contano molto i segnali trasmessi dai policy makers. La quota di cittadini che oggi appoggiano una strategia “moderata” e conciliante è piuttosto limitata. Ma c’è una percentuale elevata di persone che non prende per ora posizione. E all’interno dei due gruppi contrapposti le frange estreme sono relativamente esigue. Vi sono dunque i margini per gestire la transizione energetica e rendere l’Italia più eco-sostenibile senza far esplodere nuove e rischiose tensioni distributive. Certo, occorrerà tener conto dei vincoli sociali e della domanda di protezione.

 

Dal sondaggio emergono del resto alcune “luci” su cui far leva per il successo di una simile strategia. L’elevata sensibilità ecologica degli italiani, che già si riflette nei loro comportamenti, innanzitutto. Poi la consapevolezza che il cambiamento climatico rappresenta una minaccia concreta e che dunque è diventato imperativo contrastarlo. Come si è visto, infine (tab. 4), gli italiani sono i più preoccupati in Europa circa gli effetti che l’effetto serra può avere sulle generazioni future. Probabilmente hanno capito che il tempo ormai scarseggia, e che i danni inizieranno a ricadere già sui propri figli. La tutela dell’ambiente e la decarbonizzazione non sono più un problema fra tanti, ma una vera e propria emergenza che mette a repentaglio l’intero pianeta.

 

Estratto dalle conclusione del report GLI ITALIANI E IL MUTAMENTO CLIMATICO: UN BAROMETRO ECO-SOCIALE.

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